In Ecuador le proteste degli indigeni bloccano il paese
Il 13 maggio scorso, in tutte le aree dell’Ecuador, dall’Amazzonia alla costa, passando per le Ande, è iniziato uno sciopero indetto dalla Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE). Dal loro comunicato stampa si legge che la mobilitazione ha carattere: pacifico, nazionale, territoriale ed indefinito.
Queste manifestazioni avvengono per i gravi problemi di ingiustizia sociale, povertà, crisi economica e disuguaglianza cronica presenti nel paese. Tra le richieste che i popoli indigeni fanno al governo del presidente Lasso c’è la riduzione del prezzo della benzina, la sospensione delle estrazioni di minerali e petrolio dai territori indigeni, fissare prezzi giusti per i prodotti contadini, fermare la privatizzazione dei settori pubblici, aumentare il budget per la sanità e l’educazione, generare politiche pubbliche di sicurezza e protezione.
Per capire meglio qual è la situazione che si sta vivendo oggi nel paese e come questo sciopero abbia colpito il nostro lavoro, abbiamo parlato con Fabio Scotto, cooperante CEFA in Ecuador.

Che cosa sta succedendo in Ecuador?
Siamo all’undicesimo giorno di manifestazione. Le arterie principali del paese sono bloccate e lo stato di emergenza si estende a 6 regioni. Agli ingressi nord e sud di Quito ci sono scontri tra manifestanti e polizia e militari per cercare di fermare i fiumi di persone che continuano ad arrivare nella capitale. Da ormai due giorni la maggior parte dei manifestanti sono stanziati nel centro della città, vorrebbero arrivare sotto i palazzi governativi che sono però blindati da centinaia di militari. La stampa ufficiale dà poche notizie e minimizza, ma sembra che ci siano già molti feriti, persone arrestate e si parla di 7 morti tra i manifestanti. Le forze antisommossa hanno requisito la Casa della Cultura di Quito per farci il loro quartiere generale, non succedeva dai tempi della dittatura. Il governo ha fatto qualche concessione, per esempio ha duplicato il budget per l’educazione interculturale e dichiarato l’emergenza per il settore della sanità pubblica ma allo tempo stesso dice che il costo della benzina non è aumentata e non aumenterà ma dallo scorso anno il prezzo è in realtà raddoppiato! Da ieri le parti si dichiarano pronti al dialogo, ma per dialogare pongono delle condizioni difficili da ottenere in questo momento.
Ci sono state conseguenze sui nostri progetti e il nostro lavoro?
Come CEFA abbiamo dovuto riprendere a lavorare da casa per una questione di sicurezza. Il lavoro di campo è al momento sospeso perché sono bloccate anche le strade rurali dove operiamo e la maggior parte delle comunità dove siamo presenti partecipano alle manifestazioni. Avevamo in programma questa settimana un grande evento di chiusura del progetto “Cadenas de Valor”, il più grande che abbiamo in Ecuador, con la presentazione dei principali risultati e buone pratiche. Con questo evento avremmo voluto dare voce ai protagonisti del progetto, alle cooperative, ai produttori, oltre che ai soci. Purtroppo però abbiamo dovuto sospenderlo. Da quando sono arrivati a Quito molti più manifestanti, sono aumentati gli scontri, anche vicino l’hotel dove avremmo dovuto fare l’incontro.
L’ultima manifestazione avvenne nel 2019 e durò 11 giorni che sembravano non passare mai. Quanto durerà quest’anno? Sicuramente non sembrano esserci ancora le condizioni per pensare a una fine imminente, però speriamo che alla fine la soluzione sia soddisfacente per tutti, soprattutto per quella parte della popolazione più povera e vulnerabile.
Ci auguriamo che il governo dell’Ecuador ascolti le richieste dei manifestanti indigeni, cercando di trovare una risoluzione pacifica e condivisa. Nel frattempo il nostro lavoro non si ferma, ma speriamo di poter tornare presto sul campo, mantenendo come priorità assoluta la sicurezza dei nostri colleghi e beneficiari.
Insieme a Fabio, abbiamo parlato anche con Alice Fanti, direttrice del CEFA e responsabile dei progetti in America Latina, appena ritornata dal suo congedo di maternità, che ci ha ricordato l’importanza dell’ascolto e dell’impegno collettivo per scongiurare nuovi conflitti.
“L’aumento del prezzo del petrolio si riflette sui costi dei beni alimentari in tutto il mondo, e questo lo vediamo in tutti i paesi in cui lavoriamo, dall’Ecuador al Corno d’Africa. Se vogliamo scongiurare l’inizio di nuovi conflitti dobbiamo impegnarci di più come comunità internazionale per garantire il giusto prezzo ai produttori agricoli locali e fare investimenti per l’autosufficienza alimentare di questi popoli. Non siamo di fronte a comunità che avanzano richieste sconsiderate, ma a persone che sono chiamate a scegliere se morire di fame o rischiare di morire migrando, protestando, combattendo. “
Alice Fanti – Direttrice CEFA
