Testimonianze

La situazione in Marocco a due mesi dal terremoto

30 Ottobre 2023

    Il racconto di Andrea Tolomelli – Responsabile Progetti CEFA in Marocco

    Vengo in Marocco da 21 anni e in tutto questo tempo ho potuto assistere a quanto CEFA abbia realizzato in diverse aree del paese, dai trattori di Sidi Boumehdi all’olio di oliva di Beni Mellal, dalle campagne antirazzismo all’incubatore di nuove imprese di Oujda, dalle start up per migranti e marocchini al reinserimento di migranti che hanno deciso di tornare nel loro paese di origine. L’arrivo è complicato, il Marocco è sferzato da giorni di vento impetuoso e all’atterraggio mi aspetta una bomba d’acqua impressionante. Assieme a Rachid, Naima e Federica, colleghi di CEFA Marocco, ci dirigiamo verso Marrakech per verificare la situazione in seguito al terremoto dell’8 settembre. La città non è stata particolarmente colpita dal sisma e si mostra immersa nella sua frenesia turistica fatta di cibo, locali e luci, come avesse dimenticato quella drammatica notte. Ci addentriamo verso le montagne dell’Atlante, nella regione di Marrakech-Safi, vicino all’epicentro.

    La prima comunità che incontriamo è a circa 1000 metri di altitudine, ai bordi della strada. Il villaggio di Ourigane è semidistrutto e l’accampamento riesce ad ospitare una settantina di famiglie; la poca distanza da Marrakech, circa due ore di strada, ha permesso loro di organizzarsi: hanno tende di plastica, una zona comune coperta per la cucina dove donne indaffarate passano la giornata a preparare cibo per tutti. La situazione è difficile, ma non drammatica e la sola grande paura è l’arrivo della pioggia invernale, la sera prima infatti, a seguito della bomba d’acqua, molte tende si sono allagate.  Ci accolgono col sorriso e dimostrano tutta la grande accoglienza invitandoci a pranzo, su sgabelli e tavoli improvvisati. L’accoglienza marocchina mi sorprende sempre, qui le persone possono anche avere poco o quasi nulla, ma quello che hanno lo dividono con gioia. Distribuiamo utensili da cucina, giochi per le bambine ed i bambini e ripartiamo. Le persone del campo d’emergenza ci indicano alcuni villaggi che sono in condizione di grande difficoltà e decidiamo di raggiungerli per verificare quali siano i bisogni.

    Dopo 17 chilometri di montagne mozzafiato, con strade strette che si inerpicano tra rocce e sassi crollati dopo il terremoto e le piogge, arriviamo al villaggio di Tizi Oussem, collocato a 1900 metri di altezza e particolarmente esposto al freddo. Sembra di essere in Tibet, solo montagne, rocce e silenzio. Il villaggio è completamente distrutto, camminiamo tra le rovine e tra le macerie si vedono i pezzi di vita che il terremoto ha tolto per sempre: piastrelle, giochi, utensili da cucina sbucano tra la terra di cui erano costruite le case.  Manca cibo, mancano le tende adatte, manca praticamente tutto, e la prima cosa che viene in mente è che spesso i disastri naturali in realtà colpiscono la povertà e la miseria. Sarà difficile portare gli aiuti quassù, ma assieme agli altri amici del CEFA decidiamo che dobbiamo provarci.  Qua la prossima settimana è prevista neve e sarà necessario poter dare un riparo sicuro a queste persone che hanno perso tutto e che, con ostinazione contadina, vogliono restare nella loro terra dove fieramente producono mele e miele.

    Il terzo villaggio che visitiamo è quello di Wamast e qua, se possibile, la distruzione è ancora più evidente. Ad eccezione di un paio di case, le 150 famiglie sono tutte in tende di tessuto che il vento sferza minacciando di trascinarle via. Vivono in 3 famiglie per tende di 6 metri quadrati e, togliendo loro la tenda da cucina con cui fornivano pasti collettivi, ogni famiglia deve fare per sé con fornelletti da cucina.  Ci fanno entrare nelle case distrutte e viene il groppo in gola a vedere tanto scempio. Incontriamo un anziano che è stato salvato dopo che su di lui era crollata la casa intera, ci guarda con gli occhi umidi e un sorriso sdentato e noi possiamo solo immaginare cosa abbia provato e visto la notte dell’8 settembre. Anche qui hanno bisogno di tutto e noi distribuiamo i soliti kit, ma con l’idea di cercare di fare ancora di più. Una volta finito il giro, abbiamo capito i bisogni delle persone ad un mese dal terremoto, bisogni che, nonostante i grandi sforzi e la bravura del governo marocchino, rimangono ancora molto urgenti ed importanti.  Con l’arrivo del freddo e la posizione di questi villaggi, diventa fondamentale la consegna di materiale adatto per proteggere le persone dalle basse temperature: nei prossimi giorni procederemo con la distribuzione di tende a doppio strato, coperte, vestiti pesanti, kit igienici e kit scolastici per consentire ai bambini di andare regolarmente nelle scuole tenda montate.

    Ripartiamo per Rabat con una tempesta di sabbia lungo tutto il tragitto; il cielo giallo e il vento fortissimo ci ricorda di quanto siamo piccoli davanti alla natura, ma soprattutto ci fa subito pensare alle persone che abbiamo appena lasciato nelle loro tende, confermando la necessità di andare avanti e cercare qualsiasi modo per sostenere queste popolazioni generose che hanno visto vanificare anni di sacrifici loro e dei loro parenti.

    “Tutto è cambiato. Dal punto di vista fisico, molte persone che prima non avevano problemi di salute ora ne soffrono, come il diabete o problemi di pressione, dovuti alla paura del terremoto. Anche i giovani sono stati colpiti a livello psicologico. Attualmente, c’è una bambina di 9 anni la cui casa è ancora accessibile, ma non riesce ad entrarvi a causa della paura. Attualmente, vive con noi.” (Amina, donna marocchina che vive a Ouirgane)

    Consci di essere una goccia nell’oceano e di non poter aiutare tutte e tutti, con il CEFA faremo tutto il possibile, seguendo fino alla fine la nostra testardaggine, per potere dare un sostegno a persone che hanno ancora nei loro occhi la paura e l’orrore della distruzione e della morte.