Progetti

Ma maison – un anno dopo il terremoto

5 Settembre 2024

La strada tra le tende e il Douar è fatta di pochi tornanti, ma dobbiamo per forza farli in macchina. Khadija ha insistito per venire con noi. Vuole mostrarci quella che una volta era casa sua. Ora non resta che un cumulo di macerie, intorno alle quali alcuni uomini sono intenti a raccogliere mattoni.

Un anno fa, il terremoto ha distrutto tutto: case, negozi, e ricordi che ora scivolano tra un tornante e l’altro. Lasciata la macchina, camminiamo su una distesa di terra e polvere. Khadija conosce una scorciatoia. Attraversiamo così il boschetto, per passare da una piccola radura dove sono seppellite le vittime di quella notte.

Non è facile calpestare i mattoni che una volta erano casa. Khadija non scendeva al Douar da settimane. Ha passato l’inverno al campo tende. Vorrebbe andarsene, finire la scuola e studiare legge. La sera guarda film sul telefono, aiuta la madre a cucinare sui fornelli da campo e cambia le bombole a gas. Il suo film preferito è Il Leone del Deserto. Adora i film sulla guerra, la storia e l’attualità.

Non parla francese, ma dopo pochi passi dentro il Douar si ferma, indicando uno spiazzo di pietre e mattonelle dove sono incastrati frammenti di stoffa e vestiti. “Ma maison“, ci dice, mentre fili di ferro si intrecciano tra loro, aggrappandosi alle suole delle nostre scarpe. Solleviamo i piedi con cautela. Non vuole restare più di qualche minuto. Fu lei, la mattina dopo il terremoto, a ritrovare lì il corpo di sua sorella.

Da settimane, gli psicologi del CEFA tengono sessioni individuali e di gruppo con gli abitanti del campo. Durante gli incontri si affrontano non solo il trauma del terremoto, ma anche le dinamiche familiari, la convivenza nel campo e le prospettive future. Khadija partecipa spesso a queste sessioni, ma come ogni percorso di cura, i risultati richiedono tempo. Si cerca di ricostruire non solo le case, ma anche il senso di appartenenza, la fiducia verso un futuro che appare ancora incerto.

Dopo esserci allontanati da casa sua, troviamo Khadija in cima al Douar, mentre si arrampica su un albero per raccoglierne i frutti. Ci lancia tre melograni, e iniziamo a mangiarli insieme a lei. Non sono troppo maturi, ma meglio mettere qualcosa nello stomaco: è un po’ che camminiamo. Alla fine della giornata, Khadija è tornata con noi al campo, con due melograni per i suoi fratelli stretti tra le mani.

È passato un anno esatto dal terremoto. Le macerie del Douar sono ancora lì, testimoni silenziosi di una tragedia che ha stravolto le vite di molti. La ricostruzione è iniziata da poco, ma nessuno sa quanto tempo ci vorrà per ridare una nuova forma a questi luoghi. Quello che è certo, però, è che il volto di questi posti non sarà mai più lo stesso. Come una nave di Teseo a cui si cambia un pezzo alla volta, ciò che resta della casa che una volta conoscevamo è solo il ricordo, scolpito nella memoria di chi l’ha vissuta.

Nei giorni passati nei Douar, tra le ombre e la polvere delle tende, abbiamo visto le storie di un altro Marocco. Lontano dalle spiagge, dagli incantatori di serpenti e dai rally nel deserto, esiste un Marocco che resiste, che lotta, e che trova significato nel condividere con uno straniero un melograno poco maturo.

L’intervento del CEFA in numeri

Grazie al sostegno di IMC, WeWorld, Fondazione Prosolidar, Emil Banca Credito Cooperativo, Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo, e tutti i donatori e le donatrici che hanno sostenuto il nostro impegno dopo il sisma, siamo riusciti a fare tanto.

Abbiamo distribuito:
550
tende
3383 coperte
615 materassi
2695 kit igenico-sanitari

Per l’aspetto psico-sociale abbiamo portato avanti:
115
gruppi di parola
199 sessioni individuali
45 sessioni familiari