Per risolvere la crisi climatica serve giustizia, non auspici
Cari sostenitori e care sostenitrici,
il mondo ha appena assistito alla conclusione della COP29 a Baku, un evento che avrebbe dovuto segnare un passo decisivo nella lotta contro il cambiamento climatico, ma che purtroppo ha lasciato molti con un senso di delusione e amarezza.
Tra le cifre discusse, si è parlato di 1300 miliardi di dollari all’anno fino al 2035 per affrontare la crisi climatica. Tuttavia, di questi, solo 300 miliardi saranno garantiti dai Paesi sviluppati, e addirittura questa somma si raggiungerà pienamente solo nel 2035. Il resto? Rimane un auspicio, senza impegni concreti su come e dove raccogliere i fondi necessari. Di fronte a un accordo che molti Paesi in via di sviluppo hanno definito un tradimento, ci si chiede: come si può affrontare una crisi di tale portata con tanta superficialità?
La risposta è dolorosamente chiara: i Paesi più vulnerabili non avevano alternative. Ancora una volta, i grandi inquinatori e le economie più ricche hanno dettato le regole di un gioco che penalizza chi già soffre di più. E fa ancora più male pensare che questa COP si sia svolta in un Paese che ha dichiarato apertamente l’intenzione di espandere la produzione di idrocarburi, il principale responsabile delle emissioni globali.
Per noi del CEFA, che operiamo ogni giorno in realtà come il West Pokot in Kenya, dove le piogge non arrivano da sei anni, o il Wolayta in Etiopia, dove conflitti e siccità lasciano milioni di persone senza cibo e acqua, tutto questo è semplicemente incomprensibile. Queste non sono solo cifre o accordi. Questi sono volti, famiglie, comunità intere che vedono il proprio futuro scomparire davanti agli occhi.
Non possiamo restare indifferenti. La missione del CEFA è anche questa: sensibilizzare, mobilitare, agire. La politica dovrebbe e potrebbe fare molto di più. Solo nel 2023, la spesa militare globale ha raggiunto 2,5 trilioni di dollari, crescendo del 6,8% rispetto all’anno precedente. Cifre che dimostrano che le risorse ci sono, ma sono destinate altrove. Una transizione ecologica giusta deve seguire un principio semplice: chi inquina di più deve pagare di più.
Alla COP29 si è parlato poco di finanza e troppo poco di clima. Le COP sono nate per ridurre le emissioni e trovare strategie per salvaguardare il pianeta, non per diventare palcoscenici di negoziati economici. Eppure, crediamo ancora che queste conferenze possano essere strumenti indispensabili per invertire la rotta, a patto che vengano profondamente riformate.
Ecco perché, come CEFA, chiediamo:
- Maggiore trasparenza e regole più rigorose per i Paesi ospitanti. Ogni nazione ha il diritto di ospitare una COP, ma deve dimostrare un reale impegno verso gli obiettivi climatici.
- L’unificazione delle COP su clima e biodiversità, come suggerito da Panama durante la conferenza. La crisi climatica e la perdita di biodiversità sono due facce della stessa medaglia e devono essere affrontate insieme.
- Un principio di giustizia climatica che guidi le politiche globali: chi più inquina, più paga. Le economie più ricche e responsabili della maggior parte delle emissioni devono assumersi le loro responsabilità.
- Una mobilitazione collettiva in Europa e in Italia per spingere i nostri leader ad assumere un ruolo guida e non accettare compromessi al ribasso.
- Una revisione del modello COP, pensato nel 1992 ma non più adeguato per affrontare le sfide del 2024. Serve un approccio nuovo, coraggioso e innovativo per affrontare una crisi che non è più la stessa di 30 anni fa.
La crisi climatica non è un problema futuro. È qui, ora, e riguarda tutti e tutte noi.
Non fermiamoci.
Un saluto di pace
Raoul Mosconi – Presidente CEFA
