Istituzionali

L’Alleanza degli Stati del Sahel

23/05/2025

    Di Vera Negri Zamagni – Vicepresidente CEFA

    Per comprendere i recenti sviluppi politici che si sono verificati tra Mali, Burkina Faso e Niger, nella fascia ovest del Sahel, occorre mettere in campo tre ordini di considerazioni. In primo luogo, va chiarito che il Sahel, letteralmente “bordo del deserto”, comprende 7 stati tra l’oceano Atlantico e il Mar Rosso a Sud del deserto del Sahara (Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Sudan), di prevalente colonizzazione francese (solo il Sudan è di influenza anglo-egiziana), dove la grande siccità rende i terreni scarsamente coltivabili, con una presenza forte di allevamento transumante e grandi contrasti fra i coltivatori sedentari (soprattutto in oasi) e gli allevatori. Il territorio è vasto e poco produttivo e le popolazioni sono disperse, con un elevato tasso di mortalità infantile; siccità e invasione delle locuste producono frequenti carestie, peggiorate dall’attuale cambiamento climatico. Un po’ di miniere (uranio, litio, oro, rame e altri materiali) permette qualche entrata aggiuntiva per le popolazioni locali, aggiungendo però sfruttamento straniero alle durezze naturali del clima. In secondo luogo, sono gli sviluppi storico-politici che vanno richiamati.  In un contesto inospitale come quello del Sahel, la colonizzazione francese dell’Africa Occidentale aveva puntato su altre aree, senza cercare di migliorare le condizioni strutturali delle aree del Sahel. Quando tutte le colonie francesi divennero stati indipendenti, venne creato nel 1975 un raggruppamento (Ecowas) di sedici stati ex-colonie francesi, a cui partecipavano anche gli stati del Sahel francese, con governi indipendenti formati su base di elezioni, molti dei quali però ebbero una vita debole e incerta. 

    u così che già dal 2001 si diffuse il fondamentalismo islamico, con la nascita soprattutto di due raggruppamenti, Jnim affiliato ad al-Qaeda e Issp, provincia Saheliana del cosiddetto Stato islamico, che rappresenta il terzo fattore esplicativo della situazione attuale. Oggi il Sahel rappresenta una delle principali frontiere di espansione del jihadismo nel mondo, in particolare in Burkina Faso e Niger, con la formazione di gruppi armati che gli stati saheliani hanno cercato di contrastare con l’aiuto di forze paramilitari locali e anche ricorrendo a forze paramilitari esterne, soprattutto russe, dopo aver toccato con mano che né l’ONU né gli Stati Uniti né l’Unione Europea sono stati in grado di fornire aiuti efficaci per contrastare il jihadismo. Le capacità militari di questi gruppi di fondamentalisti islamici si sono a tal punto rafforzate da proiettarli anche al di fuori del Sahel, in particolare nel nord della Nigeria e nei paesi affacciati sul golfo di Guinea, soprattutto Togo e Benin. Oltre alle azioni di guerriglia nelle campagne, tali gruppi si sono spinti nelle città e hanno iniziato una penetrazione economica e propagandistica, generando una forte insicurezza nella popolazione. Si comprende allora come mai la difficile democrazia di questi paesi non abbia resistito e uno dopo l’altro siano caduti nelle mani di colpi militari (Mali 2021; Burkina Faso 2022; Niger 2023). Sospesi dall’Ecowas, questi paesi hanno creato l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) il 4 luglio 2024 e sono formalmente usciti dall’Ecowas il 29 gennaio 2025. Le ambizioni di questa alleanza sono notevoli: creare un mercato unico, una moneta unica, una circolazione libera dei residenti, dei piani di investimento in infrastrutture e in agricoltura comuni, per diventare un unico stato di maggiori dimensioni (attualmente circa 70 milioni di abitanti, ma in continua crescita), liberandosi dal neocolonialismo e dalla dipendenza dagli aiuti esterni, comunque così inefficaci. Intanto, hanno creato un esercito unico di circa 5000 uomini per contrastare il terrorismo.

    È ancora presto per dire se la nuova alleanza avrà successo, ma ci sono due lezioni da trarre dagli avvenimenti sopra descritti. La prima è che l’Occidente, in questo caso Francia e Unione Europea, non sono in grado di scrollarsi di dosso il vecchio rapporto con l’Africa, in un contesto in cui gli africani stanno diventando desiderosi davvero di progredire. Questo li spinge verso sponde alternative, Russia, Medio-Oriente, Cina, che non corrisponderanno alle loro speranze, ma che per lo meno permettono loro di cercare di affrancarsi dai vecchi legami coloniali ormai obsoleti. La seconda lezione è che gli enormi problemi dell’Africa non possono essere affrontati con l’assistenzialismo, ma con l’investimento, una consapevolezza che in Africa è già diffusa e che l’Occidente e le ONG dovrebbero maturare in fretta.